Morningstar Investor Marzo/Aprile 2012 - (Page 20)
In Pratica
Analisi di portafoglio, strumenti di frontiera
Di Umberto Cherubini
Per lo studio dei rischi si fanno strada i modelli copula. Il caso della funzione di Kendall.
Nel paradigma classico della gestione dei portafogli il trade-off tra rendimento e rischio fa riferimento alla varianza dei rendimenti come indicatore del rischio. Da molti anni, questa rappresentazione si è rivelata insufficiente. Ricordiamo che limitare l’analisi del portafoglio ai primi due momenti (media e varianza, appunto) ha senso solo nell’ipotesi che i rendimenti abbiano distribuzione normale. Se questa ipotesi è violata, ciò implica assumere che l’avversione al rischio degli individui aumenti con la ricchezza, il che è irrealistico. Nella realtà dei mercati, l’ipotesi di normalità è sistematicamente violata. In particolare, la proprietà di simmetria della distribuzione normale non è verificata dai dati, e la probabilità di occorrenza di eventi estremi è molto più elevata. A questo fenomeno di asimmetria e “code grasse” si aggiunge a livello multivariato la tendenza degli eventi estremi a manifestarsi congiuntamente su diversi titoli e diversi mercati (tail dependence), e l’evidenza di una maggiore correlazione di eventi estremi negativi (asimmetria di correlazione). Misure del rischio che tengono conto dell’asimmetria negativa dei rendimenti sono note da anni. L’esempio più conosciuto è la cosiddetta semi-varianza, cioè la varianza dei rendimenti calcolata utilizzando solo le realizzazioni negative. All’inizio di questo secolo, misure dello stesso significato sono
state proposte per l’analisi dell’asimmetria di correlazione. La misura più nota è la cosiddetta exceedance correlation: si tratta di correlazioni calcolate su porzioni simmetriche delle due code. Il confronto tra i due valori fornisce una buona rappresentazione grafica dell’asimmetria della distribuzione. Inoltre, il confronto con i valori che si otterrebbero in presenza di distribuzione normale consente di apprezzare la rilevanza di deviazioni da essa. Le misure del rischio Questi sviluppi hanno spinto alla ricerca di nuovi modelli e metodologie statistiche per la descrizione dei rendimenti e a nuove misure del rischio finanziario. Per quanto riguarda queste ultime, possiamo distinguere due direzioni alternative di ricerca. La prima consiste nell’estendere l’analisi dei momenti della distribuzione dei rendimenti oltre media e varianza, per considerare il momento terzo (asimmetria) e quarto (curtosi). La seconda riguarda la forma della distribuzione, con particolare riguardo alla coda dei valori negativi: a questo proposito menzioniamo il Value-at-Risk (VaR), che denota la perdita che è possibile riportare con una data probabilità su un certo orizzonte di investimento; l’Expected Shortfall (ES), cioè la perdita attesa oltre un certo livello di VaR. E’ il caso di sottolineare che mentre il VaR è la misura più utilizzata nel sistema bancario, le caratteristiche tecniche dell’ES lo rendono particolar-
mente utile in applicazioni di allocazione del portafoglio: mentre infatti il problema di massimizzare il rendimento atteso sotto un vincolo di VaR può richiedere tecniche numeriche molto complesse, fare lo stesso con un vincolo in termini di ES è un semplice problema di programmazione lineare. Tra i modelli disponibili per rappresentare i rendimenti oltre la distribuzione normale, la scelta è tra quelli in grado di fornire una rappresentazione generale del mercato, che potremmo chiamare modelli top-down, e modelli più flessibili, che consentono di modellare i singoli componenti di un portafoglio o del mercato, e che poi aggregano queste componenti in una rappresentazione del mercato globale: potremmo chiamare quest’ultimo approccio bottom-up. La scelta tra i due approcci è più una questione di gusti, che di tecnica. Le considerazioni che possono venire in mente in proposito sono quelle mutuate dall’econometria. In generale modelli parametrici, come si dice, della distribuzione dei rendimenti hanno il vantaggio della parsimonia, che li rende meno flessibili all’interno del campione, ma più robusti in fase di previsione (la cosiddetta capacità di “generalizzazione”). All’estremo opposto, la costruzione dal basso della distribuzione dei rendimenti consente una maggiore attenzione
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Attualità
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L'Editoriale
In principio, Markovitz
Il primato dell’asset allocation
MVO, l’evoluzione della specie
Markovitz 2.0
Oltre alla teoria dell’utilità attesa
Analisi di portafoglio, strumenti di frontiera
Rischio e modelli scenari
La metamorfosi degli indici
Cap e fondamentali, mix possibile
Un portafoglio con stile
Value, growth, cicli di mercato e sentiment
Strategia, chiave di volta del bravo gestori
Quando il gestore fa la differenza
Manuale d’uso dei fondi bilanciati
Analisi Morningstar
Markovitz 2.0, dalla teoria alla pratica
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