Morningstar Investor Marzo/Aprile 2012 - (Page 38)

Analisi Morningstar Manuale d’uso dei fondi bilanciati Di Dario Portioli Investire in classi di attivo diverse non sempre produce i risultati attesi. Ecco i motivi. In Europa, i fondi bilanciati rappresentano il quarto insieme più grande in termini di attivi in gestione dopo le strategie azionarie, obbligazionarie e monetarie. In termini percentuali, pesano per circa il 10% del mercato del risparmio gestito; dunque, si tratta di una fetta importante, sebbene non prevalente nel pano-rama dei fondi di investimento. L’obiettivo di questa tipologia di strumenti appare evidente: diversificare tra classi di attivo attraverso un solo strumento. Non necessariamente quest’unica soluzione è ottimale; anzi, è molto probabile che, per soddisfare al meglio i propri obiettivi finanziari, gli investitori possano ottenere maggiori benefici selezionando più di uno strumento finanziario. Ad ogni modo, per scegliere un buon fondo bilanciato è opportuno comprenderne i meccanismi di funzionamento. A tal riguardo, è utile ripercorrere brevemente le fasi evolutive di questi strumenti, che spesso sono coincise anche con i progressi degli studi accademici nell’ambito dell’asset allocation. Diversificare in modo classico Tra i primi lanciati sul mercato, i fondi bilanciati che chiamerò “classici” si basano sulla selezione di diverse classi di attivo (tipicamente, azioni, obbligazioni, liquidità). La nascita di queste strategie è giustificata da argomenti teorici, ma anche da alcune osservazioni empiriche: le diverse classi di attivo tendono ad avere nel tempo un andamento decorrellato dei rendimenti, per cui il contestuale investimento in questi strumenti produce una performance finale meno volatile. I fondi bilanciati “classici”, però, hanno tradito gli investitori in alcuni casi. Le correlazioni tra classi di attivo, infatti, tipicamente aumentano nei periodi di crisi del mercato, ovvero proprio quando vi è maggiore bisogno di sfruttare i vantaggi della diversificazione. Inoltre, nel considerare unicamente le classi di attivo, si rischia di trascurare alcuni aspetti importanti. Per fare solo un esempio, prendiamo il rischio paese. Per gli investitori italiani si è rivelato importante nel corso del 2011, quando alle perdite sulle obbligazioni governative italiane si è aggiunta la discesa del mercato azionario. Per questa ragione, un portafoglio diversificato in senso classico tra azioni e obbligazioni domestiche non ha fornito grandi vantaggi. Fattori di rischio Nel tentativo di superare questi limiti, i team di sviluppo dei prodotti di investimento si sono andati sempre più orientando verso la diversificazione per fattori di rischio. L’idea alla base è che per conoscere e gestire al meglio la risposta del proprio portafoglio a diverse fasi del mercato, bisogna tener conto dell’esposizione verso le variabili che muovono l’andamento degli strumenti finanziari. Per fare degli esempi, è opportuno comprendere la sensibilità nei confronti di variabili come l'andamento del mercato azionario, la qualità del credito, il rischio paese, i tassi di interesse e l’inflazione. In questo modo, è possibile stimare l’effetto di shock improvvisi sul portafoglio. Questo approccio appare più completo, ma non è immune dal rischio di un cambiamento delle correlazioni tra i fattori di rischio nelle crisi. Bilanciati, ma flessibili Un’ulteriore tipologia di fondi bilanciati è quella dei “flessibili”. In partenza, il nome di questo insieme sembra essere un ossimoro: come fa un portafoglio diviso tra varie classi di attivo ad essere allo stesso tempo flessibile, ovvero a prevedere possibili concentrazioni o coperture su singole tipologie di strumenti finanziari? La risposta è che il grado di diversificazione può nel tempo variare a seconda delle condizioni del mercato e delle valutazioni del gestore. In questo senso, diventano importanti le capacità del team di investimento e il rigore della strategia adottata. Il limite di questo approccio attiene alla difficoltà di conciliare l’orizzonte di tempo dell'investitore con i mutevoli profili di rischio-rendimento del fondo. Ad esempio, se un investitore dovesse decidere di uscire dal fondo può rischiare di doverlo fare in una fase in cui il portafoglio è posizionato in modo molto aggressivo; in questo caso, l’esposizione a variazioni avverse del mercato non coincide con gli obiettivi dell'investitore. Target date Per ovviare al problema, numerose case di gestione hanno sviluppato fondi con un obiettivo temporale. Questi sono caratterizzati dai cambiamenti dell’asset allocation in fun-zione dell’avvicinarsi della data di scadenza. Ciascun investitore, dunque, può selezionare lo strumento più adatto ai propri obiettivi temporali, conseguendo allo stesso tempo un buon grado di diversificazione. Per concludere, un unico fondo bilanciato non sempre è in grado di soddisfare tutte le esigenze finanziarie. Inoltre, tra le diverse tipologie offerte dalle società di gestione, non esiste la soluzione ottimale per tutti. K Dario Portioli è fund analyst di Morningstar 38 Morningstar Investor Marzo / Aprile 2012

Tabella dei contenuti per la edizione digitale del Morningstar Investor Marzo/Aprile 2012

Morningstar Investor Marzo/Aprile 2012
Attualità
Rubriche
Hanno scritto per noi
L'Editoriale
In principio, Markovitz
Il primato dell’asset allocation
MVO, l’evoluzione della specie
Markovitz 2.0
Oltre alla teoria dell’utilità attesa
Analisi di portafoglio, strumenti di frontiera
Rischio e modelli scenari
La metamorfosi degli indici
Cap e fondamentali, mix possibile
Un portafoglio con stile
Value, growth, cicli di mercato e sentiment
Strategia, chiave di volta del bravo gestori
Quando il gestore fa la differenza
Manuale d’uso dei fondi bilanciati
Analisi Morningstar
Markovitz 2.0, dalla teoria alla pratica

Morningstar Investor Marzo/Aprile 2012

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